Secret sight
Abbiamo intervistato i Secret Sight in occasione dell’uscita di “Shared Loneliness”, la band si racconta tra le domande di Lorenzo D’Antoni. Buona lettura! Secret sight
- Come è nato il vostro progetto e da dove arriva il nome “Secret Sight”?
Il nome “Secret Sight” nasce da un’immagine: una stanza affollata e piena di angoli più bui in cui le tonalità hanno sfumature meno marcate ma più profonde. E’ il passo indietro di chi guarda senza essere guardato per fotografare una scena per quello che è: luce, buio, ombre. Così il titolo del primo album “Day.Night.Life” ne è la conseguenza: è la celebrazione delle differenze e la voglia di esplorare anche il buio. In più il nome della nostra band ha una sua musicalità bella, ci è piaciuto da subito. Secret sight
“Secret Sight” è l’evoluzione del progetto Coldwave, primo nome con cui come band ci siamo accostati alla voglia di scrivere canzoni che affondassero in un’atmosfera, più che in un genere, ma poi lo abbiamo superato – il nome Coldwave e il progetto – perché ci stava stretto e non volevamo incatenarci da soli.
Allo stesso modo abbiamo superato lo schema a quattro (prima la voce era rappresentata da Matteo Schipsi) volendo giocare su due voci che potessero fondersi al punto che neppure noi eravamo in grado di dire se una canzone la cantasse Lucio o Cristiano. E’ un ritorno all’essenziale per essere più liberi. - Il vostro sound risente di molte contaminazioni diverse, volete elencarci le vostre influenze musicali o gli artisti che vi hanno maggiormente influenzato
Le nostre influenze sono molte e diverse, anche tra i membri della band. Ognuno porta un suo bagaglio che va dal punk al metal dalla new wave al pop. Il nostro obiettivo è quello di “camminare sulle spalle dei giganti” trovando un orizzonte nuovo. Chiaramente durante questo cammino abbiamo incontrato mostri sacri (Smiths, Simple Minds, Chameleons) ma non c’è nessuno che conti di più o che sia fonte unica di ispirazione. Ci sorprendiamo a leggere che le influenze sono chiare perché in fase di composizione non lo sappiamo neppure noi che cosa viene fuori, né se una canzone debba suonare come quello o come quell’altro gruppo. - Probabilmente il vostro progetto è fatto per andare oltre i confini italici, avete in programma concerti fuori porta? Rientra tra i vostri piani?
Il nostro progetto ha un respiro internazionale: le etichette che lo sostengono (Unknown Pleasures Records e Manic Depression) sono francesi e, mentre stiamo definendo la tournée, possiamo dire che abbiamo già date in Austria, Francia, Repubblica Ceca e, naturalmente, in Italia. Siamo italiani nella cura dei dettagli ma internazionali nello sguardo che vorremmo avere. - Com’è nato il vostro ultimo album “Shared Lonliness”?
“Shared Loneliness” è per noi un nuovo punto di partenza: nella formazione a tre abbiamo deciso di cambiare modo di scrivere spostando i punti di vista sulle voci, che cambiano continuamente, mantenendo però una struttura ritmica chiara, tenuta da quella locomotiva umana che è Enrico.
Le canzoni, nei testi e nella melodia, sono come istantanee in musica: sono fotografie di armonie e ritmi. Allo stesso modo il titolo dell’album, “Shared Loneliness” è frutto di un’immagine: una stanza affollata (anche qui) in cui il collante è l’insieme delle solitudini. E’ il racconto delle contraddizioni della modernità per cui le condivisioni sono somma di solitudini ma la solitudine stessa non è mai cieca: c’è sempre un raggio di luce, piccolo, in ogni buio. Le canzoni sono meno tristi di quel che possono sembrare.
Pensiamo che l’immagine della copertina renda il concetto in modo semplice e di questo dobbiamo solo dire grazie a Margot Pandone che lo ha realizzato così come è giusto ringraziare Alessandro Ovi Sportelli che ha curato la produzione del disco: è stata una crescita, umana e musicale. - Cosa pensate del panorama italico in generale e per quanto riguarda il vostro genere?
La scena italiana è molto vitale e densa di band molto capaci, che siano un genere affine al nostro o che sia diverso.
Come spesso succede la musica è molto più avanti di chi la promuove e ci investe, nel senso che ci sono gruppi ottimi che faticano, macinano ore di studio e chilometri e vanno all’estero, con umiltà e semplicità. Poi ci sono altre band che hanno la fortuna, non sapremmo dire se sia talento, di sapersi inserire in una moda e di cavalcare l’onda. Ma senza fatica si rischia di perdere di vista il senso di fare musica.
In Italia si rischia poco nell’investimento sulle nuove tendenze musicali. - Con chi vorreste collaborare?
Noi siamo pronti a collaborare con chiunque, purché ci sia passione per la musica, serietà e umiltà. Ci piacerebbe confrontarci con band che hanno una strada più lunga della nostra per crescere, trovare stimoli nuovi, ascoltare. - Dove vi vedete (musicalmente parlando) tra dieci anni?
Domandona…dieci anni è un tempo piccolo e lunghissimo. Ci piacerebbe poter raccontare di aver navigato i club di Europa e America avendo ancora la voglia di scrivere, suonare, ritrovarsi in una sala prove di legno compensato ad accendere gli amplificatori e dimenticare, per un attimo, che il Tempo avanza ma la musica se ne frega, misurando solo il tempo di una canzone e dell’emozione che provoca.