Abbiamo scambiato due parole con la band sarda Trigale in occasione dell’uscita del loro singolo e del loro album! Questo è stato il nostro risultato! Buona lettura
Ciao ragazzi! Com’è nato il vostro progetto?
Suonavamo in un quartetto che eseguiva dal vivo il repertorio della “triolgia elettrica” di Bob Dylan. Allo scioglimento di quella band, noi tre ci siamo detti che sarebbe stato un peccato sprecare l’empatia che si era venuta a creare. Marco aveva delle canzoni nel cassetto e abbiamo cominciato a lavorarci.
Quali sono le vostre influenze principali?
Molto varie. Ognuno ha le sue, fondamentalmente. Qualcuna è condivisa.
- Marco: ammiro davvero tanti songwriter, chitarristi e cantanti, spesso molto diversi gli uni dagli altri. Quando scrivo, penso una parte o canto cerco di stare attento a non ricalcare involontariamente certi modelli. Non so fino a che punto ci riesco. Mi piacerebbe scrivere canzoni come Bob Dylan, suonare la chitarra come Robben Ford e Jeff Beck e cantare con la mia voce con la stessa decisione, la stessa sfrontatezza con cui Dr John, Joe Henry e Jeff Tweedy degli Wilco cantano con la loro. Ma mi andrebbe di lusso anche riuscire a suonare la chitarra come Jeff Tweedy, cantare come Bob Dylan e scrivere una canzone bella come “Just the same” di Dr. John, considerata una sua “cosa minore”.
- Roberto: Ascoltando “La pazienza” non sarà difficile capire che il batterista che maggiormente mi ha influenzato è Nick Mason. Anche Philip Selway dei Radiohead è un musicista a cui mi ispiro durante il processo creativo nei Trigale.
- Nicola: Mi hanno influenzato soprattutto i Beatles. Nelle armonizzazioni vocali sono stati dei veri e propri maestri. Senza dubbio anche la creatività del cantautorato italiano negli anni ‘70.
Quali sono le maggiori difficoltà per un artista emergente oggi?
Storicamente, si è da poco chiusa un’era, quella della discografia così come l’abbiamo conosciuta noi, non più ragazzi. L’era nuova è caratterizzata anche dalla massima disponibilità, grazie alla rete, di informazioni, e dunque di tante forme di musica. Al tempo stesso però c’è il rischio che questa grande abbondanza renda più difficile la formazione di un legame forte come in passato tra l’ascoltatore e la musica. In passato, per esempio, le “tribù” giovanili si distinguevano le une dalle altre proprio in base al tipo di musica che ascoltavano, o meglio vivevano. Noi rivendichiamo quel tipo di legame, ci crediamo. Per questo abbiamo scommesso, un po’ controcorrente, di imbarcarci nell’avventura di autoprodurci un album e di stamparlo anche su vinile. Un artista che oggi voglia emergere finisce facilmente per scontrarsi con un modello dominante che nega all’artista la libertà di composizione di cui gruppi e cantautori potevano godere in passato. L’avvento dei talent show prevede una sorta di preconfezionamento del prodotto: case discografiche e produttori pretendono un certo tipo di suono e mettono mano in prima persona agli arrangiamenti e ai brani nella loro struttura, a volte anche nei testi. Devi anche apparire come dicono loro, dal punto di vista estetico, per poter sfondare: gli artisti in questo caso non si sentono liberi.
Siete soddisfatti del vostro lavoro in studio o cambiereste ancora qualcosa?
Una cosa non esclude l’altra; siamo soddisfatti del lavoro fatto in studio sia da parte nostra che da parte dell’ottimo fonico Samuele Dessì. Ciò nonostante le cose da migliorare si trovano sempre perché le canzoni crescono con noi, e affinché ci rappresentino costantemente cerchiamo di suonarle sempre al passo con noi stessi. Di fatto, succede che a un certo punto in studio devi dire “Ok, basta così”, e scattare la foto, altrimenti c’è il rischio di non smettere mai di ritoccare!
Con chi vi piacerebbe collaborare?
La cosa bella della musica è che crea occasioni di incontro. In generale è bellissimo suonare con qualcuno per scoprire che, vissuta insieme l’esperienza della musica, ci si conosce meglio, a un livello più profondo. Quindi, per rispondere alla domanda, ci piacerebbe collaborare con musicisti, o fonici, o tecnici, o artisti visivi, coreografi, insomma chiunque abbia la stessa nostra passione per condividere esperienze e vita.
Progetti futuri?
Suonare dal vivo queste canzoni ovunque sia possibile e, appena saremo pronti, entrare in studio per un nuovo album. Ci piacerebbe anche riuscire a non dipendere dall’affitto di una sala prove a orari prestabiliti. Avere una sala nostra ci permetterebbe di trovarci a suonare anche per cinque ore di fila, in un giorno particolarmente ispirato, senza che nessuno ti dica: “ragazzi è ora di andare!”. Potremmo gestirci autonomamente quando ognuno di noi dovesse sentire il bisogno di chiudersi in sala, non per forza tutti e tre assieme: una sala prove tutta nostra ci permetterebbe di essere molto più produttivi.
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